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Tratto da una storia vera…Serao

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Post fb di Cristina Ambrosiano

Ogni mattina nelle mie passeggiate consacrate all’esercizio dei muscoli della mia persona e dei miei cani passo dinanzi ad uno dei bar nei pressi della Reggia.
La prima volta che attraversai il marciapiede su cui si affaccia questo esercizio commerciale ebbi la sensazione di muovere i miei passi su una stuoia nuova appena uscita dal laboratorio di filati o su un pavimento interno di un corridoio di un museo. Questa percezione rimane in me ogni volta, ogni mattina, sempre nitida, sempre radicata nei miei occhi che vedono e nei miei passi che si appoggiano su questo segmento di marciapiede. Quasi passo con discrezione, se potessi andrei in punta di scarpe da ginnastica per non violarlo, non imbrattarlo con le suole. Scintillante, pulitissimo, tirato a lucido come un’auto fiammante che brilla dopo la lucidatura di un carrozziere.
Tavolini posizionati con precisione, equidistanti perfettamente fra loro. Fioriere curate piene di fiori colorati. Ciotole di alluminio appoggiate su un trespolo piene di acqua fresca per l’eventuale cagnolino di un cliente che volesse bagnarsi il musetto. E alla fine mi pare anche di avvertire un insolito, piacevole profumo di fiori o di detergenti, non saprei dirlo. Sembra il set di un film allestito per l’occasione. Per pochi attimi immagino di trovarmi in una città nordica, un altro mondo. Ma l’incanto dura pochi secondi, il tempo di percorrere i pochi metri della sua durata. Poi… l’inferno.
I miei passi si lasciano alle spalle l’oasi e ripiombano su marciapiedi impolverati, punteggiati di cicche di sigarette, bottigliette di plastica vuote, fazzoletti bianchi accartocciati perché il naso ce lo dobbiamo soffiare tutti e di cercare un cestino il tempo non lo abbiamo, polpettine di cane lasciate ad impreziosire ed ornare artisticamente il percorso da padroni falsamente distratti al momento della “deposizione”, gomme da masticare fra le quali compiere ardimentosi slalom onde evitare di portarcele a casa attaccandole sul pavimento del salone appena nettato dalla collaboratrice domestica che ci costa una cifra blu.
Stamattina, però, assisto ad un’immagine inaspettata. Alle sette del mattino un signore accovacciato a terra armeggia sul marciapiede con tanto di stecca in mano. Mi chiedo cosa faccia. Mi avvicino. Lo colgo nell’atto di staccare infinitesimali incrostazioni sulle mattonelle del marciapiede che neppure un microscopio rileverebbe. Accanto un mocho per il successivo lavaggio. Se non avessi compreso da mesi l’aria che si respira dinanzi a quel bar e il “vizio” della pulizia, dell’ordine, del rispetto per cittadini e clienti che lo caratterizza, avrei pensato di trovarmi dinanzi ad un extraterrestre. Una perla in un porcile, un faro nella notte, un fiore nel deserto.
Mi accosto al signore e scambio due parole. Mi complimento per lo stato del suo locale e dell’area esterna. Mi sorride e mi risponde con garbo.

  • Io non faccio nulla di strano. É il mio spazio. Il mio lavoro. La mia vita. É tutto normale.
    Vado via con un nodo nel cuore. Penso a tante brutture del mondo. Penso che in un piccolo angolo della Terra c’è ancora un uomo che lustra il suo marcipiede con la passione di un contadino che cura il suo campo e gli dà vita e l’amore di una madre che pettina i boccoli d’oro della sua bambina semplicemente perché ha compreso che quello è il “suo” marciapiede e che comunque il “suo” marciapiede non é solo “suo” ma di “tutti” . Avventori, cittadini, turisti, uomini. Questo si chiama sentimento, rispetto, passione, cura, dedizione, lavoro, amore. E allora penso che brilla ancora il seme della speranza in noi e in qualche lembo di mondo…
    P. S. Premetto che ho riportato soltanto un mio pensiero, una mia emozione. Il proprietario del bar Serao non è un mio parente né un mio amico. L’ho conosciuto stamattina. E non mi ha certo pagato per fargli pubblicità. So soltanto che di certo un giorno o l’altro mi siederó lì a fare colazione con mio marito ed i miei cani. Perché le oasi nel deserto non si incontrano tutti i giorni !!
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