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Susanna Camusso: “Il Covid ha acuito tutte le disuguaglianze. Non siamo uguali neppure di fronte alla malattia”

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Camusso, il Governo chiude tutto o quasi. Lei è d’accordo?

Assolutamente sì. La salute è la cosa più importante. Non può essere sacrificata a null’altro.

E’ d’accordo anche sui tentennamenti. Chiusure rinviate, zone colorate, lockdown a pezzetti e pezzettini?

Più che altro, io credo che la si sia tirata troppo per le lunghe. Tre Dpcm in poco tempo fanno capire che si è cercato di rinviare qualcosa che si e, invece, era meglio accelerare. Le chiusure differenziate, sulla base di dati e situazioni diverse, penso che siano legittimi e, io credo, giustificabili. Forse non si è stati sufficientemente chiari. Non c’è stata la necessaria trasparenza sui criteri adottati.

Mezza Italia è disperata. Manca la consapevolezza? Si fa abbasta?

Vede, c’è un nodo che diventa sempre più evidente. Abbiamo affrontato poco e male il tema delle disuguaglianze e della povertà, che ora stanno esplodendo e moltiplicandosi, perché la pandemia ha colpito soprattutto le persone più povere e precarie. Si è aperto un divario, una voragine, crescente e impressionante. Il problema è che non abbiamo gli strumenti per sostenere le persone e si finisce per commettere ingiustizie e disparità. I bonus non danno alcuna tranquillità rispetto al futuro e a quello che ci aspetta. Bisognerebbe intervenire in modo strutturale, e non a partire dalle singole categorie, ma dalle persone che hanno bisogno non solo di un sostegno immediato, ma anche di prospettive che li possano tranquillizzare per quello che sarà il loro futuro.

Il Covid ha accentuato le differenze non solo fra Nord e Sud del Paese, ma anche fra chi non ci rimette niente, come il pubblico impiego e chi rischia di perdere molto o tutto, come privati, autonomi e precari?

No, io a questa contrapposizione con i lavoratori pubblici non ci sto. Anzi, dobbiamo ringraziarli tutti i giorni, perché sono loro che ci aiutano e permettono di sopravvivere alla malattia e ai lockdown. Il problema, che sta emergendo, è un altro. Noi abbiamo progressivamente privatizzato, familiarizzato, il welfare del Paese, come se le condizioni sociali fossero universali e non ci fosse la necessità di intervenire per limare e colmare le differenze, senza contrapporre, per carità, qualcuno a qualcun altro. Le protezioni sociali vanno estese, non discusse e limitate, e non sono diventate vecchie, come un prodotto obsoleto del Novecento.

Sul Covid infuria la polemica politica. In un Paese civile dovrebbero remare tutti dalla stessa parte?

Credo che nella guerra al Covid dovrebbero essere prese tutte le misure necessarie possibili. Dopodiché esistono una maggioranza e un’opposizione e, se i toni restano civili, è giusto e legittimo che si polemizzi.

Le strumentalizzazioni non la indignano?

Il Covid in politica non lo si dovrebbe usare, ma è evidente quale sia il conflitto in corso, al di là dei nomi con cui viene chiamato. C’è chi pensa che al primo posto vada collocata la salute e chi che venga prima l’economia. E’ stato detto esplicitamente, senza mezze parole, E, rispetto a questa differenza, è legittimo che ci sia un dibattito. Poi ci sono gli sciacalli.

Chi sono gli sciacalli?

Sono quelli che nel giro di quarantotto ore dicono che si deve prima chiudere tutto e poi aprire tutto. O viceversa,

La scuola on line esclude la terza parte della popolazione scolastica. Perché nessuno pare accorgersene?

E’ scandaloso e inaccettabile che un terzo degli studenti sia escluso dalla possibilità di poter apprendere anche non in presenza. E che nessuno eccepisca nulla. Il diritto universale allo studio, previsto dalla Costituzione, è negato e calpestato. Forse durante i mesi estivi si poteva pensare a non lasciare nessuno indietro assicurando le connessioni a tutti gli studenti e a tutte le scuole, anziché dibattere sui banchi con le rotelle. Un Paese, in questo modo, ancora al censo anche l’accesso all’istruzione. E il peso più gravose ricade sulle donne, sulle madri, che devono fronteggiare in prima persona l’’esclusione dei loro figli dall’apprendimento, riservato solo ai due terzi della popolazione. Delle donne, che non sanno che fare, dei bambini e dei ragazzi, che non ha più una scuola, né in muratura né virtuale, sembra che non interessi niente a nessuno. C’è stata un’imperdonabile sottovalutazione delle difficoltà che avrebbero incontrato quelli che hanno meno possibilità di parola. Con il rischio di allargare la dispersione scolastica, con il ritorno di tanti ragazzi in famiglia, e del terno a lotto che rischia di diventare la loro esistenza.

Dal punto di vista sanitario siamo tutti uguali, settentrionali e meridionali, ricchi e poveri, al cospetto del Covid. ‘A livella di Totò con il Covid si è slivellata?

No, non siamo tutti uguali. La livella, peraltro, non è mai esistita. Lo hanno sempre sostenuto i vincenti che le crisi livellino le difficoltà, non certo quelli che pagavano un prezzo. Siamo tutti sulla stessa barca, è un motto che ha inventato la Confindustria, non i lavoratori. Non siamo tutti uguali neppure di fronte al lockdown ,perché è profondamente diverso se hai una casa grande o una piccolissima, se ti puoi connettere con le persone e con il mondo che sta fuori dalla tua casa. Fa differenza, soprattutto, essere o non essere preoccupati per il reddito e per il sostentamento della famiglia. E sono differenti anche le possibilità di accesso alle informazioni e alle modalità di cura e alla cura stessa. Le parlo da una Regione, la Lombardia, dove la privatizzazione della Sanità è stata esplosiva e ne stiamo pesantemente pagando le conseguenze. E qui è più evidente che altrove che le differenze di reddito determinano una differente possibilità di accesso alle cure. Ed è non solo inaccettabile emotivamente, ma anche contrario, come accade per il diritto allo studio negato a un terzo degli studenti, a quanto è prescritto nella nostra Costituzione. Oggi giorno ci accorgiamo sulla nostra pelle gli errori e le falle che si sono aperte nel nostro sistema sanitario.

Che cosa manca? Che cosa la fa più arrabbiare?

La cosa che mi fa arrabbiare è che in questa straordinaria emergenza non si pensi, come si dovrebbe, ai soggetti più deboli, ai più colpiti dalla pandemia. Non solo dalla malattia, ma nelle condizioni di vita. Personalmente penso soprattutto ai giovani e alle donne. I due soggetti esclusi da qualsiasi discussione e da qualunque scelta, o anche solo ipotesi, di provvedimenti strutturali. Come se non esistessero.

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