Calcio in lutto, se ne va da guerriero Sinisa Mihajlovic, o da Sergente, come lo chiamavano in tanti per via del suo temperamento imponente, sia in campo che in panchina. Se ne va troppo presto, a soli 53 anni, sconfitto da quella malattia contro cui combatteva dal 2019, un “mostro” chiamato leucemia che non gli aveva impedito di rimanere alla guida del suo Bologna, almeno fino a quando è stato possibile. Quel “Forza Sinisa” twittato dal giornalista Clemente Mimun era suonato già come un allarme, un messaggio di incoraggiamento che tra le righe nascondeva un presagio oscuro, divenuto oggi, venerdì 16 dicembre, spietata concretezza: Sinisa Mihajlovic, ex calciatore e allenatore serbo, si è spento dopo una lunga battaglia contro la leucemia.
Il triste annuncio è arrivato tramite un comunicato della famiglia: “La moglie Arianna, con i figli Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nikolas, la nipotina Violante, la mamma Vikyorija e il fratello Drazen, nel dolore comunicano la morte ingiusta e prematura del marito, padre, figlio e fratello esemplare, Sinisa Mihajlovic. Uomo unico professionista straordinario, disponibile e buono con tutti. Coraggiosamente ha lottato contro una orribile malattia. Ringraziamo i medici e le infermiere che lo hanno seguito in questi anni, con amore e rispetto, in particolare la dottoressa Francesca Bonifazi, il dottor Antonio Curti, il Prof. Alessandro Rambaldi, e il Dott. Luca Marchetti. Sinisa resterà sempre con noi. Vivo con tutto l’amore che ci ha regalato”.
Un campione in campo e fuori, un personaggio che tanto ha dato al nostro calcio: formidabile cecchino sui calci piazzati, con le maglie di Roma, Samp, Lazio, e Inter è diventato uno dei difensori più forti della sua epoca, prima di intraprendere la carriera da allenatore che lo ha portato su diverse panchine di serie A. Un’avventura iniziata e conclusa con il Bologna, con in mezzo tante esperienze, dal Catania alla Fiorentina, fino al Milan e alla nazionale della Serbia. Una carriera fatta di grandi successi ma anche di scontri e controversie, per un personaggio da sempre apprezzato soprattutto per la sua schiettezza, per il suo modo diretto e inequivocabile di dire le cose, anche quelle scomode e fastidiose. Mihajlovic lascia la moglie, Arianna Rapaccioni, e sei figli: Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nicholas, avuti con l’ex showgirl romana, e Marko, avuto da una precedente relazione.
Sinisa Mihajlovic, in campo e fuori
Nato il 20 febbraio del 1969 a Vukovar, ma cresciuto a Borovo, che all’epoca facevano parte della Jugoslavia governata da Tito, Mihajlovic inizia la sua carriera da calciatore nel Vojvodina, prima del passaggio alla Stella Rossa nel 1990. Dopo la vittoria della Coppa dei Campioni 90-91 con la squadra di Belgrado, gli osservatori italiani mettono gli occhi su questo difensore dotato di un sinistro folgorante. Nel 1992 la Roma lo acquista per 8,5 miliardi di lire, ma la sua esperienza in giallorosso non rispetta le aspettative. Il riscatto arriva con il passaggio alla Sampdoria, dove Sinisa diventa uno specialista dei calci da fermo, diventando l’incubo dei portieri italiani.
Nel 1998 arriva la consacrazione con il passaggio alla Lazio di Sven Goran Eriksson, dove in sei stagioni mette in bacheca un campionato (2000), due Supercoppe Italiane (1998 e 2000), una Supercoppa europea (1999), una Coppa delle Coppe (1999) e due Coppe Italia (2000 e 2004), oltre a decine di reti magnifiche, sia in serie A e soprattutto in Europa. Nel 2004 arriva il trasferimento all’Inter con cui conquista due Coppe Italia (e il discusso campionato assegnato a tavolino per lo scandalo Calciopoli), prima di appendere gli scarpini al chiodo e sedersi in panchina.
Proprio in nerazzurro, come vice di Mancini, Mihajlovic intraprende il suo viaggio da allenatore. La prima panchina, nel 2008, è quella del Bologna, a cui seguiranno Catania, Fiorentina, Serbia, Milan, Torino e Sporting Lisbona, prima del ritorno nella sua Bologna nel 2019. Il 13 luglio dello stesso anno arriva il terribile annuncio: l’allenatore comunica in conferenza stampa di aver contratto una forma di leucemia mieloide acuta. Dopo le cure e il ritorno in panchina, lo scorso 26 marzo annuncia di doversi sottoporre a un nuovo ciclo di cure per contrastare la ricomparsa della malattia che l’aveva colpito due anni e mezzo prima. Una malattia che adesso ha avuto la meglio, ma che non potrà cancellare il ricordo di un campione, con i suoi pregi e i suoi difetti, un uomo come tutti, in grado di sbagliare e di compiere gesti meravigliosi. Un ricordo agrodolce come la vita, a volte piacevole come un sorriso, altre volte implacabile e spietata, come una punizione di Sinisa.
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