C’è una categoria che non è stata toccata dal lockdown: i dipendenti della Pubblica Amministrazione, che nel periodo di quarantena, e fino a quando il Coronavirus impedirà a tutti di tornare a lavoro, devono rinunciare solo ai buoni pasto.
Tutto il resto, lo stipendio e il posto, sono garantiti. Per questo motivo, a livello anche previdenziale, non dovranno fare i conti con alcuna perdita o rischio economico.
Nel privato sono invece tutti appesi a un filo: ai dipendenti privati tarda ad arrivare la cassa integrazione, imprenditori professionisti e partite iva hanno visto crollare i loro ricavi e in molti temono di non poter neppure riaprire.
Alle imprese, per compensare il crollo degli affari, è stato offerto di indebitarsi di più e solo una parte dei lavoratori autonomi hanno ricevuto 600 euro ad aprile e forse 800 per i prossimi 2 mesi. Cifra non solo riservata ad alcuni ma che per quasi tutti rappresenta una cifra insufficiente per colmare le perdite del lockdown.
“Siamo tutti sulla stessa barca”, ama ripetere il premier Conte. Se davvero è così, perchè lasciare fuori i dipendenti pubblici? La proposta: ridurre la retribuzione dei dipendenti pubblici (esclusi quelli impegnati in prima fila nell’emergenza economica) in misura uguale al calo del PIL per aiutare i non garantiti e le imprese a ripartire.
La proposta di Kestè : destinare una parte del loro stipendio per aiutare il Paese a superare l’emergenza
# 3,2 milioni di dipendenti pubblici a tempo indeterminato in Italia costano 160 miliardi di euro all’anno, su 750 miliardi di spesa totale
L’apparato statale è tutelato al 100%, mentre il sistema delle partite iva, dal freelance all’azienda quotata in borsa, che con le loro tasse finanziano anche gli stipendi dei dipendenti pubblici, rischia il tracollo.
I fatturati sono a zero da mesi per la maggior parte delle imprese o delle piccole partite iva, e i dipendenti privati che non percepiscono lo stipendio e sono in un’attesa angosciante del pagamento della cassa integrazione con il rischio di perdere il posto di lavoro finita l’emergenza.
Nel frattempo l’ultimo dato sul costo delle retribuzioni dei dipendenti pubblici a tempo indeterminato risalente al 2017 riporta questa cifra: 160 miliardi e 105 milioni, che ogni anno viene garantito dalle tasse pagate proprio da chi solitamente genera ricchezza nell’economia e che è stato bloccato in casa dallo Stato, senza contare i 200 miliardi di sprechi dovuti all’inefficienza degli uffici.
Significa che in 2 mesi sono stati liquidati 26 miliardi di stipendi, mentre i 25 miliardi promessi a marzo, che comprendono anche bonus baby sitter e congedi parentali per dipendenti pubblici, solo in parte sono arrivati a destinazione.
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