S. Antimo- Duplice omicidio quello di Luigi Cammisa, 29 anni, e della cognata Maria Brigida Pesacane, 24 anni, ammazzati dal suocero Raffaele Caiazzo, 44 anni, ora in carcere, tirava a campare con il reddito di cittadinanza ma conviveva con la mente annebbiata da brutti fantasmi che gli hanno sussurrato nella mente che genero e nuora tradissero i suoi due figli, Alfonso e Anna.
Luigi Cammisa, marito di Anna Caiazzo, è stato fulminato da ben sei colpi esplosi da distanza ravvicinata dal suocero. Luigi si stava recando al lavoro. È stramazzato sull’asfalto, senza nemmeno sapere cosa gli stava accadendo. Una vista orribile, davanti alla quale le sorelle della vittima si sono scagliate con quanta forza avevano in corpo contro Raffaele Caiazzo. Furie trattenute a stento dai carabinieri. «Era un bravo ragazzo dice un suo collega di lavoro senza grilli per la testa. La sua vita era la famiglia e il lavoro. Chi ha fatto questo deve finire all’inferno». Davanti a un corpo senza vita, martoriato dalla furia omicida, il dolore sfocia nell’odio rivelato dalle parole di alcuni parenti stretti della vittima: «La giustizia dobbiamo farcela noi come si faceva una volta? Possibile?». Ma tra zii e cugini c’è chi smorza questi toni e queste arole. E ancora c’è chi insiste: «L’assassino tre anni e sta fuori». Parole pacate da altri cugini della vittima, che seppure addoloratissimi: «Perché tanta follia?». E ancora: «La moglie se ne è andata. Neppure si piange il marito». «Probabilmente l’hanno portata via. Che stava a fare qui con i suoi due bambini», puntualizza un altro giovane cugino della vittima.
In Via Caruso, dove abitava Maria Brigida, la disperazione, le lacrime sincere dei vicini e dal pianto rabbioso di Alfonso Caiazzo, magro come un chiodo, piegato da una indicibile sofferenza accanto ai familiari increduli. Questo povero ragazzo, scaraventato in una spirale di sofferenza brutale, dopo essere stato avvertito che era «accaduto qualcosa a Brigida», davanti al corpo senza vita della moglie, si è messo a gridare con quanto fiato aveva in corpo: «Me l’ha uccisa, me l’ha uccisa…», prima di sferrare un pugno contro una delle pareti di casa, così forte da procurarsi una frattura alla mano. Un dolore da niente, di fronte ad un padre assassino che lo ha reso vedovo, mentre i suoi due bambini di due e quattro anni orfani. Di fronte a tanta disperazione, qui in via Caruso, nessuno dei familiari di Maria Brigida ha alzato la voce, né imprecato e nemmeno si è sognato di minacciare la vendetta contro l’assassino. Alfonso continua a ripetere: «Vita mia, ti porterò un fiore e un lumino ogni giorno». Un dolore dignitoso, composto, accompagnato dal lamento di un dolore atavico, quale può essere quello di una mamma a cui è strappata via la vita di una figlia. E mentre questa triste mattina volge al termine, la fine dei rilievi della scientifica da parte dei carabinieri al terzo piano della grigia palazzina segna l’inizio del distacco: chiuso in una bara di alluminio, il corpo della giovane mamma viene adagiato all’interno del furgone della mortuaria, sotto lo sguardo disperato del marito: «Devo andare con Brigida, non può rimanere da sola senza me».
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