Qualche accenno al libro: per comprendere il rilievo criminale della camorra nella società napoletana, campana ed italiana basta sottolineare che il giro d’affari annuo stimato risulta pari a 3,7 miliardi di euro, il doppio di quello attribuito alla mafia. Nel quarto di secolo tra il 1992 ed il 2017 gli arrestati di camorra per l’articolo 416 bis sono stati 3.100, un numero che indica l’imponente partecipazione a questa organizzazione criminale, che, negli anni di Raffaele Cutolo, poteva contare su un numero di affiliati superiore alle 5.000 unità.Alla analisi di questa radicata associazione a delinquere dedica il suo imponente lavoro Isaia Sales, nel libro “Storia delle camorre”, pubblicato dall’editore Rubbettino. In realtà, descrivendo la parabola di tale fenomeno criminale si racconta la traiettoria di Napoli, perché esiste un intreccio inestricabile che costituisce il racconto spesso non detto, anche nella contemporaneità. Anzi, nei tempi recenti emerge persino un fastidio quando si associa la città alla camorra. Converrà piuttosto riflettere su questo processo di rimozione, o addirittura di rifiuto.
Sin dalle origini più recenti, la camorra mostra il suo volto poliforme. Il Prefetto di Polizia, e poi Ministro degli Interni, Liborio Romano, incaricato di assicurare l’ordine pubblico nell’attesa dell’arrivo di Giuseppe Garibaldi a Napoli, si rivolge ai massimi esponenti della camorra, affidando loro il compito di coordinamento delle attività. Basta solo un’ora dalla ricezione della proposta a Tore ‘e Crescenzo, il capocamorra cui si era rivolto Romano, per accettare senza esitazione. Questa compenetrazione tra istituzioni e criminalità costituisce uno dei tratti dominanti che caratterizzano la storia delle camorre, nelle diverse fasi della evoluzione storica.
La camorra muove i primi passi esercitando una intermediazione parassitaria nei confronti delle attività economiche. L’espressione “prendersi la camorra” indica l’estorsione nei confronti di quelli che svolgono un mestiere o che posseggono u patrimonio, minacciando o esercitando violenza. Nella sua evoluzione, la camorra tende poi ad estendere il proprio raggio di azione su tutte le opportunità di business che si presentano in funzione degli accadimenti.
Mentre per considerare la mafia una organizzazione unitaria e strutturata abbiamo dovuto aspettare le indagini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la camorra formula il suo primo statuto, il cosiddetto “Frieno”, di cui si conoscono poi diverse versioni nel corso del diciannovesimo secolo.
Nello statuto della camorra, al primo articolo, è scritto che “la Società dell’Umiltà o Bella Società Riformata ha per scopo di riunire tutti quei compagni che hanno cuore, allo scopo di potersi, in circostanze speciali, aiutare sia moralmente che materialmente”. L’insieme di riti e modello organizzativo adottati dalla camorra, creano un parallelo con le società segrete, come la massoneria, in questo anticipando storicamente quello che accade con il legame sempre più stretto che recentemente si è instaurato tra massoneria e ‘ndrangheta.
Tra il 1911 ed il 1912 il processo Cuocolo si svolge sulla base del presupposto che la camorra sia una struttura organizzata, con un suo capo, le sue regole, un suo tribunale (la “gran mamma”). La camorra ha sempre seguito un modello organizzativo basato sul rito, l’obbedienza e la solidarietà. La gerarchia è rigida e corrisponde ad un bisogno di disciplinare la violenza
Il raggruppamento dei camorristi del rione si chiama “paranza”, un termine di derivazione marinaresca, che indica l’importanza del contrabbando di mare nelle storie di camorra, sino ai nostri giorni. Se il mare non bagna Napoli, secondo il racconto di Anna Maria Ortese, evidentemente bagna la camorra, che ha sempre considerato il mare una grande risorsa per i propri traffici illeciti.
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