Ogni anno si ripete il 25 aprile, e anche quest’anno c’è qualcuno che fa confusione, che mischia le carte.
I nostri rappresentanti delle istituzioni ignorano completamente, o fingono di ignorare, un argomento che riguarda non solo la storia di questo paese, ma un giorno in particolare che è stato scelto ufficialmente come festa nazionale della Repubblica italiana.
Vorrei ricordare a loro e a tutti quelli che hanno fatto confusione in passato, che fanno confusione oggi e continueranno anche in futuro che secondo l’enciclopedia Treccani, non il libretto rosso di Mao, il 25 aprile è la “data assurta simbolicamente a festeggiare la resistenza e la liberazione” ed è stato scelto quel giorno perché il 25 aprile del 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale dichiarò la fine della “fase cospirativa”.
E continua ricordando che ciò “non deve dunque indurre a ritenere che i fatti bellici si esaurirono d’un colpo e gli animi, esacerbati da venti mesi di duro conflitto e da oltre vent’anni di dittatura, improvvisamente si placarono. Le operazioni militari si prolungarono infatti sino a maggio, giacché si trattava di garantire la cessazione delle ostilità attraverso il rastrellamento e la cattura di piccoli gruppi di tedeschi sbandati e di fascisti intenzionati a dare vita a una forma di guerriglia alla quale erano stati chiamati da settori radicali del fascismo repubblicano”.
Il 25 aprile non è il giorno del derby fascisti-comunisti. Non si celebra la fine di tutte le guerre, né della seconda, né della prima, né delle guerre coloniali, delle guerre puniche, della guerra di Giulio Cesare contro Asterix e Obelix o di Guerre stellari.
Col 25 aprile del 1945 si conclude una fase della guerra di liberazione nazionale che gli italiani combatterono contro il nazifascismo, ossia contro i tedeschi che avevano occupato il paese e contro i fascisti che collaboravano con gli occupanti. E collaborarono in maniera attiva: torturando, saccheggiando e facendo stragi.
A distanza di tanti anni possiamo recuperare le biografie di tutti. Dei partigiani come dei fascisti repubblichini, dei soldati tedeschi che si trovarono in un meccanismo più grande di loro e dei criminali nazisti che misero in piedi una macchina di distruzione mostruosa. Ma non ebbero tutti lo stessa responsabilità.
C’erano milioni di persone che lavoravano per guadagnarsi una vita migliore. Contadini e operai che sacrificavano la propria vita in fabbrica e sui campi e non gli passava per la testa di doverla andare a buttare via in guerra. Analfabeti che pretendevano un’istruzione decente almeno per i propri figli. Emigranti baraccati, trattati come schiavi, che a volte riuscivano a conquistarsi qualche diritto, ma più spesso gli bastava mandare a casa ogni centesimo del loro miserabile guadagno. Questi e molti altri che affiancavano gli ideali alla fatica, grandi speranze a minime gioie quotidiane.
Così mi viene in mente la lettera di Jole Baroncini, partigiana della 7ª Brigata GAP. Ha 27 anni quando viene arrestata. Il padre muore a Mauthausen, lei è rinchiusa nel campo di concentramento di Ravensbrück. Scrive alla sorella. Le parla in maniera allegra della fame. “Appena arriva il pane me lo mangio tutto in una volta, cosa che non ho mai fatto, ma ora non resisto proprio! Tutte le notti mi sogno piatti di tagliatelle e maccheroni fumanti, e papà seduto a tavola che mangia tutto”. Pensa al lavoro duro dei genitori e scrive “se avremo fortuna di ritornare tutti, la mamma e papà non dovranno più lavorare no, noi siamo giovani, ci rimetteremo presto e lavoreremo, essi avranno tanto bisogno di riposo! Neppure in casa mamma dovrà più lavorare”. Poi se ne va a dormire pensando al momento in cui si ritroveranno attorno alla loro “sgangherata tavola, ma ben apparecchiata di ogni ben di Dio”.
Jole morirà due giorni dopo. La Liberazione per il suo paese arriverà qualche settimana più tardi.
Il 25 aprile non ho nessuna voglia di celebrare chi l’ha arrestata o chi l’ha uccisa.
Il 25 aprile ricorda la Liberazione dal nazifascismo e i milioni di persone che avrebbero di gran lunga preferito starsene a casa e godersi la libertà e un piatto di pasta anziché combattere per riconquistarla fino a farsi ammazzare.
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