Una testimonianza di bullismo, che non coinvolge coetanei questa volta. A trasformarsi in bulli possono essere anche gli stessi insegnanti, come racconta questa storia di discriminazione, che “insegna” che la vera povertà è quella d’animo…
Ho sempre amato le favole ed in particolare “Cenerentola”.
Da bambina non mi stancavo mai di leggerla, mi immergevo in quella storia e avrei voluto tanto vestire i panni della principessa. Invece portavo semplici abiti, quelli che i miei genitori riuscivano a comprarmi, non erano molti e soprattutto non erano costosi.
La mia è una famiglia umile. Di mestiere mia madre fa la “madre”, che è una delle cose più difficili.
Mio padre è un semplice operaio, che lavora duramente, senza mai mostrare segni di stanchezza, sopportando il caldo e il gelo, con abiti vecchi, sporchi, con scarpe consumate e bucate dal tempo. Mio padre è la persona più umile del mondo, che mi ha insegnato il valore dell’umiltà. Non è una vergogna essere umili nell’anima, ma una grande risorsa, che ti permette di trarre tanto dalla vita.
Da bambina non avevo molti giocattoli, i giochi li inventavo, ero felice e mi divertivo con poco. Non potevamo permetterci grandi regali o feste di compleanno, non avevo molto, ma non mi mancava niente.
Ricordo il primo giorno di scuola. La maestra si presentò, e voleva sapere qualcosa di noi. Ci chiese cosa facessero di lavoro i nostri genitori ed io dissi “Mio padre è un operaio”. La maestra non mi guardò neanche, passò al nome successivo sul registro. C’era chi pronunciava la parola “medico”, “insegnante”, “dottore”, ma per me erano solo parole, non significava niente, non erano tutti genitori allo steso modo? Dentro di me ero orgogliosa di avere un padre come il mio, buono, semplice e speciale. Quella parola, “operaio”, non diceva nulla di ciò che era dentro.
Ricordo il primo giorno di scuola media. La prof voleva conoscere qualcosa di noi. Ci chiese “che lavoro fanno i tuoi genitori?” ed io diedi sempre la stessa risposta. Eppure c’era chi, ne ero certa, era figlia di un operaio come me e che rispose “fa il medico”, con la testa bassa, quasi con la paura di essere scoperta. Altri invece rimasero in silenzio, non volevano rispondere. Io non capivo perché facessero così… poi guardai gli occhi della prof, verso una bambina la cui madre era una cameriera; la guardava ma il suo sguardo si fermava e non andava oltre la superficie, abbassava gli occhi quasi come se non meritasse attenzione. Invece quando ad alzarsi era il figlio di un avvocato, lo guardava con occhi fieri e felici, per lei esisteva. Mentre io e quelli come me, non esistevamo per lei. Ci spostò nelle ultime file, non ci guardava durante le lezioni. Il bullismo è andato avanti tutti i giorni. Quando mi interrogava faceva in modo di incutermi così paura con il suo sguardo per farmi bloccare. Trovava ogni pretesto per dirmi che ero “stupida”, “ignorante”, e strappava i miei compiti e quaderni davanti a tutti umiliandomi.
Ricordo il primo giorno di scuola superiore, volevano fare la nostra conoscenza e ci chiesero “che lavoro fanno i tuoi genitori?“, io risposi ancora “Mio padre fa l’operaio“. In classe si diffuse bullismo anche tra noi ragazzi, c’era chi poteva permettersi vestiti firmati e alla moda, cose costose, e non perdeva occasione per mettere in mostra ciò che aveva, sottolineando ciò che invece io non avevo. Non ero ricca, non mi sentivo neanche particolarmente bella. L’unica cosa che avevo da vendere era l’intelligenza, ma purtroppo non importava a nessuno, anzi mi davano della “secchiona”, mi dicevano che ero “brutta”.Volevano che cambiassi pettinatura, postura, look… tutto. Volevano trasformarmi, farmi diventare come loro. Lo feci, cambiai pettinatura, cercai di vestirmi più alla moda, mi truccai, persi qualche chilo. Ma non mi sentivo diversa, ero sempre la stessa. Quando tornavo a casa e mi guardavo allo specchio, vedevo sempre la stessa ragazza. Non erano quegli abiti a rendermi “migliore”. Solo le persone superficiali possono pensare che il valore di una persona si possa giudicare dal costo dei suoi abiti ed accessori e che l’abito conta più del contenuto.
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