CASERTA – In profondità, sotto l’Appennino meridionale, esiste una sorgente di magma che può generare terremoti “di magnitudo significativa” e più profondi rispetto a quelli finora registrati nell’area.
Tra il 2013 e il 2014, alcune scosse di terremoto con un grado massimo di 5.0 si sono verificate nella zona del Casertano, sugli Appennini. Per fortuna, le varie scosse non causarono disastri, ma sono state a lungo monitorate da un team di esperti in geologia e geofisica, che ha scoperto qualcosa di sensazionale: in quella zona, la crosta terrestre è stata attraversata da una notevole quantità di magma, che ha causato gli smottamenti verificatisi.
C’è il rischio concreto di terremoti di magnitudo significativa nelle zone dell’appennino Meridionale,
La scoperta, pubblicata sulla rivista Science Advances, è dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e dal del Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università di Perugia.
“Le catene montuose sono generalmente caratterizzate da terremoti riconducibili all’attivazione di faglie che si muovono in risposta a sforzi tettonici, tuttavia dicono gli esperti, studiando una sequenza sismica anomala, avvenuta nel dicembre 2013-2014 nell’area del Sannio-Matese con magnitudo massima 5, abbiamo scoperto che questi terremoti sono stati innescati da una risalita di magma nella crosta tra i 15 e i 25 km di profondità.
Un’anomalia legata non solo alla profondità dei terremoti di questa sequenza (tra 10 e 25 km), rispetto a quella più superficiale dell’area ( 10-15 km), ma anche alle forme d’onda degli eventi più importanti, simili a quelle dei terremoti in aree vulcaniche”.
I dati raccolti mostrano che i gas rilasciati da questa intrusione di magma sono costituiti prevalentemente da anidride carbonica, arrivata in superficie come gas libero o disciolta negli acquiferi di questa area dell’Appennino.
“Questo risultato – aggiunge un vulcanologo, apre nuove strade alla identificazione delle zone di risalita del magma nelle catene montuose e mette in evidenza come tali intrusioni possano generare terremoti con magnitudo significativa. Lo studio della composizione degli acquiferi consente di evidenziarne anche l’anomalia termica”.
“È da escludere che il magma che ha attraversato la crosta nella zona del Matese possa arrivare in superficie formando un vulcano – aggiunge un geochimico Tuttavia, se l’attuale processo di accumulo di magma nella crosta dovesse continuare non è da escludere che, alla scala dei tempi geologici (ossia migliaia di anni), si possa formare una struttura vulcanica”.
Durante lo studio sono stati raccolti dati sismici e geochimici e sviluppati modelli sulla risalita dei fluidi. La ricerca è iniziata con l’analisi della sismicità della sequenza del Sannio-Matese, per poi concludersi con la modellazione delle condizioni di intrusione magmatica. La conoscenza dei segnali riconducibili alla risalita di magmi in zone non vulcaniche deve essere ancor estesa ad altre grandi catene come l’Alpino-Himalayana, Zagros (tra Iraq e Iran), le Ande e la Cordigliera Nord-Americana.
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