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La chiesa storica di Sant’ Agostino, oggi di S. Sebastiano, resta ancora chiusa

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Quella della Chiesa di San Sebastiano a Caserta è una storia antichissima e ricca di dettagli che collocano il complesso al centro delle vicende storiche della città. Attualmente non si comprendono i veri motivi per la quale si tenga chiusa, ma grazie anche alla rassegnazione  dei fedeli, e dell’indifferenza di chi non conosce la storia, si perpreta .

Prima di tutto va precisato che l’attuale denominazione legata al patrono della città di Caserta è relativamente molto recente. Risale infatti al 1925, anno in cui prese il nome dell’ormai distrutta chiesa omonima a via del Redentore. Questa chiesetta si trovava nel villaggio Torreil nucleo originario della città di Caserta.

Il nome originario del complesso, che include il monastero annesso, era quello di Sant’Agostino.

La chiesa di San Sebastiano nei primi secoli di vita

L’attuale complesso della Chiesa di San Sebastiano martire viene citato nella Bolla di Senne o Sennete del 1113, il primo documento della diocesi di Caserta, con cui l’arcivescovo di Capua Senne si rivolgeva al «Clero et Capitulo Casertano» concedendo a Rainulfo, primo vescovo di Caserta, e ai suoi successori la diocesi casertana. Le prime notizie certe riguardo la presenza nel convento dei frati Romitani Scalzi, risalgono al 1295, quando il re angioino Carlo II dispose l’autorizzazione per i monaci al trasporto di cereali. Da questa data sono pochissime le notizie che abbiamo per ciò che concerne la vita monastica del complesso. Un evento che segna la storia del monastero è indubbiamente la soppressione del convento, avvenuta nel 1654.

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La Maddalena, opera tardo rinascimentale

Questa decisione venne presa in seguito alla bolla di Papa Innocenzo X con la quale venivano soppressi i piccoli conventi. Il 10 novembre 1623 don Andrea Matteo Acquaviva d’Aragona intrecciò la storia dell’ex convento degli agostiniani con quella dell’istituendo Educatorio di Sant’Agostino, destinato a «oneste zitelle o fanciulle operaie», come leggiamo dalla storia del complesso di Anna Giordano, destinando al complesso duecento ducati annui. In seguito il vescovo Giuseppe Schinosi cedette il convento alle monache domenicane. In questi anni il vescovo dispose la ristrutturazione del convento, che durò fino al 1713.

Gli interventi di Vanvitelli

La gestione del complesso non fu comunque facile, poiché sappiamo che i Borbone trovarono il complesso condizioni di grande degrado. Le monache infatti supplicarono il Re di intervenire affinché il complesso non venisse perso definitivamente. Il re, quindi, dispose l’intervento di Luigi Vanvitelli. La presenza dell’architetto nella fabbrica di Sant’Agostino è evidente da un Real Diploma del marchese Fogliani, collaboratore fidato del Re, emanato da Portici il 15 Maggio 1753.

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La statua di San Sebastiano, realizza da Paul Morder Doss

Quanto consistente sia stato l’intervento di Vanvitelli, però, è un dato che non si evince con certezza dai documenti, ma non si è lontani dalla verità se si pensa ad un rifacimento totale della chiesa di san Sebastiano a Caserta. I dati certificati sono pochissimi: tutto o quasi si riduce a ciò che Vanvitelli asserisce nei suoi scritti: «le fabriche delle monache […] io come Arch.to del Re Unico in Caserta co’ miei aiutanti, ne ho dato il disegno».

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Un altro intervento vanvitelliano: il coro

Riguardo a questo tema l’architetto Giovanna Sarnella, durante la sua conferenza “La chiesa di San Sebastiano e le nuove testimonianze storico-artistiche“, tenuta nella parrocchia il 14 Maggio 2013, ha affermato che «tutto in questa chiesa ci parla di Vanvitelli».

Lo stile sobrio e composto dei due ordini della facciata ricorda molto quella della chiesa di Santa Maria degli Angeli di San Nicola la Strada, riconducibile alla mano di due allievi di Vanvitelli, Pietro Bernasconi e Carlo Patturelli. Gli interventi del Vanvitelli, ad ogni modo, sono ben più visibili all’interno della chiesa.

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La pianta della chiesa, così come la vediamo oggi

Quest’ultima è a pianta rettangolare e a navata unica. Ai lati dell’ingresso troviamo due affreschi (un Sant’Antonio Abate e una Madonna delle Grazie) tardo-rinascimentali, quindi di molto antecedenti all’intervento settecentesco.

Un capolavoro di architettura… e di pittura

Le decorazioni e i rapporti metrici del complesso sono un marchio evidente dell’operato del Vanvitelli. È lui stesso a specificare il suo massiccio intervento, quando chiede al Re ulteriori risorse economiche per poter rimettere in sesto gli arredi interni. Cita, infatti, le «porte de confessionarii, i telari delle finestre e vetri ed altre coerenti, come le grate de’ coretti, coro grande». Afferma che queste spese sono assolutamente necessarie e funzionali per il ripristino dell’attività della chiesa. Trova però un grande ostacolo nella scarsa lucidità che le monache dimostrano nel gestire le spese. Costoro, infatti, anteposero a questi interventi l’acquisto dei dipinti, esaurendo gran parte del denaro messo a disposizione dal re. Questi dipinti sono comunque un’ulteriore prova della grande considerazione che si aveva per questa.

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Decorazioni vegetali di evidente impronta vanvitelliana

Gli esecutori dei dipinti della chiesa di san Sebastiano, infatti, sono pittori prestigiosi che lavorarono anche alla Reggia. I quattro ovali disposti sui due lati delle navate, che rappresentano quattro sante  domenicane, sono realizzati da Domenico Mondo e Pietro Bardellino. Inoltre, due grandi tele adornano le cappelle laterali: una è una Madonna del Rosario e santi domenicani, attribuita a Girolamo Starace, e l’altra raffigura i Ss. Anna e Gioacchino con la Vergine in gloria ed i Ss. Rocco, Michele e Antonio Abate, di Giacinto Diano, firmata e datata 1763 (la stretta collaborazione tra quest’ultimo e Vanvitelli  è testimoniata dal ritratto che Diano realizza per l’architetto nel 1769, conservato nelle collezioni della Reggia). La chiesa venne terminata entro il 1774, un anno dopo la morte di Vanvitelli.

La Chiesa di San Sebastiano martire ai giorni nostri

La nuova denominazione di Chiesa di San Sebastiano, rafforzata con la dotazione di una splendida statua lignea del Santo realizzata dallo scultore bolzanese Paul Morder Doss nel 1922, non può eclissare la storia che questo complesso porta con sé da così tanti secoli, nonostante i tantissimi cambiamenti. Il complesso odierno non ospita più le suore, né la scuola magistrale da loro gestita, ma è stato sottopostoa lavori di restauro che hanno permesso l’ampliamento di tre istituti che sono già presenti: il Museo di Arte Contemporanea, l’Emeroteca Andrea D’Errico e la Biblioteca Comunale Giuseppe Tescione. Grazie alle molteplici iniziative culturali organizzate dal Comune di Caserta, la struttura rimane al centro della vita culturale della città.

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Tracce di un affresco medievale risalente alla costruzione antica

Gli studi più recenti hanno anche affrontato la problematica del posizionamento della fabbrica nel corso dei secoli. Qualche studioso ha supposto che la pianta della chiesa, che si sviluppa lungo il percorso della strada, in passato fosse stata ribaltata. Questa teoria è uscita fuori con la scoperta di un affresco di età angioina in un arco riscoperto dopo un recente restauro. L’arco si trova in precisa corrispondenza della prima cappella “mozzata” a destra. Secondo questa teoria, questa piccola cappella sarebbe stata occlusa nel Settecento, ma fino a quel momento avrebbe rappresentato l’ingresso della chiesa. Questa teoria è da sconfessare per un semplice motivo: è molto probabile che in prossimità dei due dipinti ci fosse un ingresso, che sarebbe però solo un’entrata laterale, poiché il “doppio ingresso” non era una novità nel panorama architettonico campano, come possiamo osservare nel Duomo di Casertavecchia.

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