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In casa del boss tra bunker e mitra, La Mira costruzioni attira gli inquirenti

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Dovrebbero far riflette le complessità delle dinamiche criminali, imprenditoriali e familiari che caratterizzano il contesto di Casapesenna e delle aree circostanti. Il ritrovamento della pistola mitragliatrice nascosta in un secchio di pittura a casa di Ernesto Adriano Falanga, unitamente ai bunker e alla connessione con la famiglia Zagaria, ha suscitato l’interesse dei carabinieri, che hanno approfondito le sue relazioni, sia familiari che imprenditoriali.

Il legame tra Falanga e la società Mira Costruzioni è altrettanto interessante, poiché, pur avendo sede a Milano, essa ha radici forti nell’Agro aversano, e in particolare nelle figure coinvolte nel crimine organizzato. Antonio Falanga, il figlio di Ernesto Adriano, è il titolare di tutte le quote, e l’amministratore unico, Domenico Mastroianni, risulta legato al territorio di Casapesenna. L’impresa ha anche collegamenti con i fratelli Giuseppe e Raffaele Diana, la cui associazione con la criminalità organizzata è stata indagata dalla DDA di Firenze.

Il ruolo della società Mira diventa più rilevante alla luce di un incontro tra Michele Martino, Giuseppe Diana e Nicola Capaldo, che fa emergere un possibile legame con la criminalità organizzata, nonostante Martino non risulti coinvolto direttamente nelle indagini. La successione nelle cariche della società Mira, con la sostituzione di Martino con Maria Amato (cognata di Giuseppe Diana), ha ulteriormente attirato l’attenzione degli inquirenti.

Un aspetto chiave di questo intreccio è il coinvolgimento della Mira in progetti legati alla gestione di beni confiscati alle mafie, come quello a Villa Literno, che è stato poi interrotto. Questo scenario ha spinto i carabinieri a indagare su eventuali collegamenti tra i Falanga e gli Zagaria, ma al momento non ci sono prove concrete di un coinvolgimento mafioso diretto.

Infine, sebbene Ernesto Adriano Falanga sia in carcere per la detenzione della pistola mitragliatrice, non gli sono state contestate accuse di tipo mafioso. Le indagini sono ancora in corso, ma al momento tutti i soggetti coinvolti, tra cui i Diana e gli altri nomi citati, sono ritenuti innocenti fino a eventuali condanne definitive.

In sintesi, il caso mette in luce come la criminalità organizzata e gli affari legali possano intrecciarsi, creando un contesto complesso che richiede un’attenta investigazione per separare le azioni legittime da quelle illecite, soprattutto quando si parla di imprese che operano in territori ad alta intensità mafiosa.

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