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Governo, il Senato vota la fiducia con 156 Sì

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ROMA – Hanno fatto ‘outing’ in extremis e a urne appena chiuse al Senato, hanno chiesto di votare trasformando la precedente assenza in un sì aperto al governo Conte. La ‘zampata’ è di Lello Ciampolillo, ex del M5S, e di Riccardo Nencini di Italia viva.

Riammessi al voto da un’imprevista “Var”, entrata in azione dopo le 22 grazie ai senatori questori, i due vengono allo scoperto. E sembrano solo i primi della pattuglia di ‘responsabili’, finora dormienti e che da oggi potrebbero aggiungersi alla maggioranza. “Lavoriamo a renderla più forte”, sottolinea il premier Giuseppe Conte. Ma la sua partita è in salita. Oggi, un vertice potrebbe tenersi per fare il punto. E non si esclude che, sempre nello stesso giorno, Conte vada al Colle. Lì il premier potrà comunicare la volontà di rafforzare la maggioranza. Avrà una manciata di giorni. Il tempo di superare il voto sullo scostamento e quello sul dl ristori, sul quale – al momento – il governo può contare anche su Iv e centrodestra.

La mossa di Ciampolillo e Nencini contribuisce pure ad alzare il margine della fiducia, che a Palazzo Madama arriva a quota 156, cioè 5 voti in meno rispetto alla maggioranza assoluta dei 161. Numericamente, però, Iv resta determinante. E Matteo Renzi, dal salotto di Vespa, promette battaglia. “Dovevamo asfaltarci ma non hanno in numeri. Mi sembra evidente che siamo all’opposizione”, attacca l’ex premier dicendosi pronto ad un governo di unità nazionale ma assicurando che non sarà alleato del centrodestra. La nuova partita a scacchi tra Conte e Renzi è, di fatto, già cominciata. E il premier è a un bivio: per evitare l’ultima ratio dell’appello a FI, può solo mirare a svuotare Iv guardando, al tempo stesso, all’Udc. Operazione difficile ma non impossibile.

“Se non si ricuce, io non vado all’opposizione”, è l’avvertimento del senatore renziano Eugenio Comincini. A tarda sera c’è un dato: i ‘costruttori’ si rivelano meno numerosi e incisivi delle speranze di Conte. Ciampolillo e Nencini lo fanno all’ultimo, pur essendo stati assenti a entrambe le ‘chiame’ in aula. Si difendono dicendo di non aver fatto in tempo a votare, la presidente Casellati ricostruisce poi che l’ex 5S è spuntato alle 22.14 e la dichiarazione di fine voto è di un minuto dopo. Inevitabili le proteste e la bagarre in Aula.

Altre sorprese vengono da due forzisti: la fedelissima Maria Rosaria Rossi e Andrea Causin. Nei loro confronti scatta subito la scure di FI: “Sono fuori dal partito: votare con il governo in questo caso non è una questione di coscienza”, sentenzia il vicepresidente Antonio Tajani. Nel partito di Renzi, a parte lo strappo di Nencini e l’assenza per Covid di Marino, l’astensione per ora regge.

Il governo racimola inoltre consensi tra le frange del Misto, gruppo che a Palazzo Madama conta complessivamente 29 senatori di varie componenti. In particolare, pro fiducia si schierano i 7 del gruppo Autonomie (con Pieferdinando Casini in testa), i 5 del Movimento italiani all’estero, fuoriusciti come Gregorio De Falco (ex M5s) e Sandra Lonardo (ex FI) o “rientranti’ come Tommaso Cerno che da stasera ritorna al Pd, l’”ovile” da cui era uscito un anno fa. A loro si aggiungono i senatori a vita Mario Monti, Liliana Segre ed Elena Cattaneo. E, spiegano fonti di governo, vanno considerate le assenze del pentastellato Francesco Castiello e del senatore a vita Carlo Rubbia. Il Pd, che per ora si limita a parlare attraverso “fonti” del partito, parla di “sciagurato salto nel buio” dopo la mossa di Renzi e ribadisce la necessità “il rilancio dell’azione del governo”. Per i Dem Renzi, ormai è out. Diverso il discorso per i parlamentari renziani. Il M5S, con Alfonso Bonafede, sottolinea che, dopo i due voti di fiducia, “una maggioranza alternativa” non esiste. Ma è una maggioranza che va allargata. “Chi intende la politica in modo serio, è chiamato dalla storia a dare il suo contributo. Noi ci siamo”, è il nuovo appello ai costruttori di Luigi Di Maio.

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