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Favori ai Belforte, maxy sequestro alle ‘spie del pizzo’

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CASERTA – La Direzione Investigativa Antimafia, la Divisione Anticrimine della Questura di Caserta ed il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Caserta hanno eseguito un decreto di sequestro beni e di sottoposizione all’amministrazione giudiziaria di aziende, emesso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Sezione per l’Applicazione delle Misure di Prevenzione) su proposta del Direttore della DIA e del Questore di Caserta Antonio Messineo con la collaborazione della Guardia di Finanza, coordinati dal colonello Giancarlo Corradini nei confronti di due fratelli, noti imprenditori sanfeliciani, considerati ‘spie del pizzo’ operanti nei settori del calcestruzzo e della ristorazione del casertano, difesi dall’Avv. Dezio Ferraro.

L’indagine della Squadra Mobile e la condanna

La contiguità dei destinatari del Decreto all’organizzazione camorristica denominata clan “Belforte” è emersa nell’ambito di una inchiesta giudiziaria svolta nel 2014 dalla Squadra Mobile di Caserta, con il coordinamento dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e definita processualmente nel 2016 per uno dei due proposti con sentenza di condanna a 8 anni di reclusione e 8.000,00 euro di multa del G.I.P. del Tribunale di Napoli. Pronuncia sostanzialmente confermata nel 2017 in seconde cure (divenuta irrevocabile nel 2018) dalla Corte di Appello del capoluogo campano che gli comminava una pena a 5 anni, 5 mesi e 10 giorni di reclusione e 4.600,00 euro di multa.

Gonfiati i costi delle fatture per pagare il pizzo

In particolare è stata riscontrata, anche grazie alle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, una strutturata modalità di riscossione del “pizzo” tramite l’azienda facente capo agli stessi. Infatti il meccanismo criminale ideato da costoro, definiti anche “le spie del pizzo”, si realizzava sia mediante sovrafatturazione degli importi dovuti “gonfiando” i costi rispetto alle effettive forniture per consentire la creazione di “fondi neri” destinati al pagamento delle estorsioni, sia attraverso l’organizzazione di incontri tra gli estorti e gli appartenenti al clan. Un sistema che era così collaudato che gli imprenditori che avviavano nuove attività talvolta si rivolgevano spontaneamente ai predetti affinché indicassero i referenti dell’organizzazione da contattare per “mettersi a posto”.

Sequestro da 30 milioni di euro

Il provvedimento ha comportato il sequestro di beni e l’amministrazione giudiziaria di imprese per un valore complessivo stimato in circa 30 milioni di euro interessando quanto risultato nella disponibilità, diretta ed indiretta, di uno degli imprenditori. Nel dettaglio si tratta di 3 società e 75 beni immobili ubicati nelle province di Caserta, Benevento, Salerno, L’Aquila e Parma (18 terreni, 18 abitazioni, 2 opifici industriali, 36 garage/magazzini ed 1 multiproprietà in costiera amalfitana), nonché 99 rapporti finanziari e 10 beni mobili registrati (5 autovetture, tra cui una Ferrari ed una Porsche, 3 imbarcazioni e 2 rimorchi).

Con riferimento all’altro familiare è stata invece disposta l’amministrazione giudiziaria per il periodo di un anno delle 6 aziende a lui riconducibili. Quest’ultima misura di prevenzione, eminentemente deputata al contrasto delle contaminazioni dell’attività di impresa da parte della criminalità organizzata, è volta al possibile recupero dell’azienda alle fisiologiche regole del mercato allorquando risulterà eliminata l’ingerenza dei soggetti portatori di pericolosità.

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