Da qualche settimana si è tornati a discutere della difficile situazione in cui si trova la gestione dei rifiuti in Italia ma sopratutto al Sud. Il problema è che ci sono pochi impianti adeguati e c’è troppo materiale da smaltire, e la combinazione di questi due fattori – che ha varie cause – sta portando tutto il sistema in una situazione di emergenza.
C’è poi il problema che riguarda la raccolta differenziata, e cioè che se ne fa troppa rispetto alla domanda del mercato. I materiali derivati dal riciclo hanno sempre meno spazio sul mercato, e quello che non si riesce a vendere si prova a mandarlo in discariche o inceneritori. E la plastica che non riesce a finire negli inceneritori viene accumulata dai riciclatori che non trovano acquirenti del prodotto finito, con un rischio grande di incidenti. Oppure finisce in mano alla malavita, che riempie di plastica di capannoni che bruciano.
A complicare questa situazione c’è lo stato attuale degli impianti italiani, sia di riciclo che di smaltimento. Per quanto riguarda i primi, alla buona notizia dell’aumento progressivo dei materiali da riciclare non è seguito nel corso degli anni un aumento del numero degli impianti, costringendo l’Italia a esportare sempre più rifiuti all’estero, in particolare verso Austria e Ungheria.
Quindi, la soluzione sarebbe la costruzione di più impianti, ma negli anni amministrazioni locali e proteste dei cittadini hanno rallentato l’espansione, chiedendo in molti casi la chiusura degli impianti esistenti.
A creare più divisioni e scontri negli anni sono stati gli inceneritori/termovalorizzatori, le cui emissioni sono state il principale motivo di preoccupazione. Il dibattito sull’utilità o pericolosità degli inceneritori va avanti da anni, e anche in questo caso i partiti politici si sono dichiarati favorevoli o contrari, a seconda della situazione.
Lo scontro più recente è avvenuto in seguito alla visita del ministro dell’Interno Matteo Salvini in Campania. Salvini ha parlato della necessità di avere più inceneritori per lo smaltimento, sostenendo che «occorre il coraggio di dire che serve un termovalorizzatore per ogni provincia, perché se produci rifiuti li devi smaltire». A Salvini ha risposto il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, secondo cui in Campania «gli inceneritori non c’entrano una beneamata ceppa e tra l’altro non sono nel contratto di governo». Ai due si è aggiunto poi il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, anche lui contrario a nuovi inceneritori, con una risposta piuttosto semplificatoria: «Quando arriva l’inceneritore, o termovalorizzatore, il ciclo dei rifiuti è fallito». Il “contratto di governo” parla di rifiuti solo in modo molto vago, con i soliti richiami a “incentivare la raccolta differenziata”, ma senza essere più precisi: lo ha ricordato ieri Di Maio, aggiungendo che in Campania «non bisogna fare il business degli inceneritori ma bisogna fermare il business dei rifiuti».
A proposito degli inceneritori, nel 2014 il governo Renzi inserì nel cosiddetto decreto “Sblocca Italia” un articolo, il 35, che prevedeva la costruzione di 12 nuovi impianti – da aggiungere ai 42 attualmente attivi – e la decisione fu molto contestata dalle opposizioni e dalle associazioni ambientaliste.
E arriviamo così ai molti roghi di rifiuti avvenuti negli ultimi mesi nel Sud Italia, una delle conseguenze più tangibili della grave situazione in cui versa il sistema della gestione dei rifiuti.
Quello che succede è che alcuni imprenditori, piuttosto che cercare di portare i rifiuti in un impianto di smaltimento a prezzi elevati, preferiscono pagare qualcuno perché stipi i rifiuti in uno dei tanti capannoni vuoti, a cui poi viene dato fuoco per liberarsi del problema.
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