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Coronavirus: che cos’è e come distinguerlo dall’influenza

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I sintomi dell’infezione da parte del nuovo coronavirus assomigliano a quelli dell’influenza e delle sindromi parainfluenzali che circolano in questa stagione e questo è il motivo per cui si creano molti falsi allarmi prima che le analisi di laboratorio consentano di arrivare a una diagnosi certa. Febbre, tosse, dolori muscolari, difficoltà respiratorie e più raramente disturbi gastrointestinali e diarrea sono i sintomi più diffusi. Segnalati anche mal di testa e confusione mentale. Nei casi più gravi, se l’infezione si diffonde nel basso tratto respiratorio, è possibile che compaiano gravi polmoniti (secondo le stime nel 15% dei casi) che possono portare a insufficienza respiratoria acuta. Il virus può diffondersi fino ai reni e causare così insufficienza renale. Non esiste un trattamento specifico per la malattia ma gli studi su potenziali terapie si moltiplicano. In una manciata di casi pazienti gravi sono stati trattati con successo con farmaci antivirali usati contro l’Hiv ed Ebola. In altre situazioni sono stati somministrati farmaci antimalarici, ma i ricercatori sono per ora cauti perché non esistono dati su larga scala. Quando la malattia provoca polmoniti virali particolarmente gravi si può prendere in considerazione l’uso dell’Ecmo, l’ossigenazione extracorporea, una tecnica di rianimazione che supporta le funzioni vitali attraverso l’ossigenazione del sangue (in Italia esistono 14 strutture ospedaliere che dispongono di questi dispositivi). Il periodo di incubazione, cioè il tempo che intercorre tra l’esposizione al coronavirus 2019-nCoV e il manifestarsi dei sintomi della malattia è stimato tra i 2 e i 14 giorni (con una media di 5,5), più lungo di una normale influenza (1-3 giorni). Questo significa che può essere difficile identificare e isolare i pazienti che hanno già contratto il virus ma che ancora non mostrano sintomi. La maggior parte delle persone colpite dal coronavirus guarisce. I pazienti vengono dimessi quando i sintomi spariscono, la temperatura rientra in un range normale per almeno tre giorni e i test sono negativi per almeno due volte a distanza di 24 ore. È però prematuro parlare di immunità persistente, cioè la sicura impossibilità di episodi di malattia successivi al primo. In genere dopo un’infezione da virus vengono prodotti anticorpi con effetto protettivo. Tuttavia gli anticorpi potrebbero non durare così a lungo e i guariti potrebbero essere ancora a rischio di infezione. Sussiste poi l’incognita di possibili mutazioni.

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