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I coniugi ghanesi sono la “gola profonda” dell’inchiesta sul Centro sociale Ex Canapificio

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Caserta – Replicano così gli attivisti del Centro sociale Ex Canapificio alla notizia sull’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere:  «Siamo sereni e consapevoli di poter dimostrare la nostra estraneità alle ipotesi di reato infamanti che ci vengono addebitate».

L’inchiesta è in corso dal 2019, ora è  arrivata alla conclusione delle indagini e notificata 28 giorni fa ai 17 destinatari accusati a vario titolo di truffa e falso in relazione ai fondi destinati ai migranti.

Gli imputati-attivisti hanno già presentato una memoria difensiva. «Confidiamo – aggiungono – nel percorso cognitivo che sta facendo la magistratura e ci
auguriamo che serva a far sì che la verità storica e quella giudiziaria coincidano, forniremo tutti gli elementi necessari affinché venga dimostrato che queste ipotesi di reato sono ben lontane dalla realtà che c’è stata».
Tra i capi di imputazione c’è anche l’accusa di estorsione (solo per due persone) perché avrebbero costretto una coppia di coniugi ghanesi  Donkor Malik e la moglie Agyapong Majeeda che prestavano servizio nel Canapificio e oggi parti offese nel procedimento a restituire mensilmente parte dei loro stipendi per un totale accertato di 65mila euro. I coniugi che sono rispettivamente lui presidente dei ghanesi per la regione Campania e la moglie presidente per la provincia di Caserta sono diventati però la “gola profonda” dell’inchiesta fornendo informazioni determinanti sulle irregolarità.
È stato accertato che Malik e consorte, in qualità di beneficiari del progetto Sprar, avrebbero subito pressioni o condizioni poco trasparenti riguardo alle somme destinate al loro sostentamento. Inoltre, sarebbero stati testimoni diretti di pratiche amministrative discutibili. Una confessione resa dopo che lo stesso ghanese fu denunciato dagli attivisti del centro sociale per appropriazione indebita, reato per il quale è sotto accusa in un diverso processo.
Le accuse

Secondo l’inchiesta firmata dal sostituto Ida Anna Capone, gli indagati avrebbero agito in concorso per ottenere indebitamente fondi pubblici destinati all’accoglienza dei migranti, attraverso una serie di artici e raggiri. L’importo complessivo del finanziamento ministeriale, pari oltre 6milioni di euro (in più anni) sarebbe stato in parte distratto dagli scopi dichiarati.
Tra le accuse mosse, figurano l’inserimento di spese non ammissibili per circa 1,2 milioni di euro e la falsa rendicontazione di alloggi e servizi non conformi agli standard richiesti. L’edificio della Regione Campania dove operava l’ex Canapificio in viale Ellittico, risalente al decennio che va dagli anni ’50 ai ’60 (e quindi realizzato in assenza di normative antisismiche),occupato anche senza titolo, fu sequestrato nel 2019 per motivi di sicurezza ma non mancarono le proteste degli attivisti nei giorni successivi.
I ruoli
Tra gli indagati spicca anche il nome di suor Rita Giaretta, originaria della provincia di Vicenza che con “Casa Rut” e “New Hope” a Caserta si è occupata per anni della tratta delle schiave, la cui attività è finita nel 2015 persino sulle pagine del prestigioso New York Times. Nella fattispecie, la rappresentante della Congregazione Suore Orsoline, e Michelina Bruno, revisore contabile, avrebbero approvato rendicontazioni non verificate.
Matteo Palmisani, responsabile unico del procedimento (Rup) per il progetto Sprar, è accusato di omessa vigilanza sulle attività gestionali e contabili mentre Fabio Basile, presidente dell’Associazione capofila del progetto, avrebbe percepito indebitamente 46.800 euro.

Claudia Campolattano e Giovanni Paolo Mosca, rispettivamente responsabili della rendicontazione e della cassa dell’Ats (Associazione Temporanea di Scopo), sono accusati di falsificare le spese sostenute.
Le indagini, hanno evidenziato gravi irregolarità nella gestione delprogetto. Alloggi inesistenti o non idonei: su 24 alloggi dichiarati, solo 14 erano effettivamente disponibili. Alcuni appartamenti si trovavano in comuni non autorizzati, come San Nicola la Strada. Numero di beneficiari inferiore: il progetto finanziava 200 posti, ma solo 126 migranti erano effettivamente ospitati. Carenze strutturali e igieniche: gli uffici del progetto erano collocati all’interno dell’ex Canapificio di Caserta. Il progetto era stato approvato dalla giunta di Caserta nel 2016, sotto la guida del sindaco Carlo Marino, e affidato all’Ats guidata dal Comitato per
il Centro Sociale. La Procura contesta che il processo di aggiudicazione fosse viziato da gravi irregolarità, come la mancanza delle certificazioni antimafia e l’utilizzo di polizze fideiussorie non valide.
Fabio Basile, presidente del Comitato per il Centro Sociale di Caserta, è considerato la figura centrale, in quanto responsabile della rendicontazione tra il 2017 e il 2018 e della supervisione del progetto Sprar. Accanto a lui, Andrea Bartoli, altro elemento di spicco, ha avuto un ruolo operativo chiave nella gestione dei fondi. Matteo Palmisani, responsabile del procedimento per il Comune di Caserta del progetto
Sprar. Nell’inchista indagati Bruno D’Agostino e Pietro Losco, revisori dell’Ats Progetto Sprar 2017-2019; Massimo Cocciardo, addetto alla rendicondazione; Immacolata D’Amico, coordinatrice del progetto; la sorella DomenicaD’Amico, con Vincenzo Fiano, responsabili dei rapporti con la
politica dell’Ats; Federica Maria Crovella, responsabile delle strutture alloggiative del progetto e la sorella Virginia Anna Crovella coordinatrice dei corsi
di formazione e di istruzione, nonché presidente dell’associazione Caserta Città Viva; Gian Luca Castaldi, rappresentante della Caritas diocesana di Caserta; Riccardo Russo, del Servizio centrale Sprar di Fondazione Cittalia.
Nel procedimento è parte offesa anche il Ministero dell’Interno, “ingannato” secondo l’accusa, dai requisiti presentati per ottenere i fondi.

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