Arresti e condanne legati al racket dei manifesti a Caserta. Una storia intrisa di politica, ma anche di strette di mano e patti, in occasione delle elezioni regionali del 2015. Agostino Capone, fratello di Giovanni Capone e ritenuto referente dei Belforte a Caserta, è stato arrestato. Giovanni Capone è stato condannato definitivamente a 15 anni di carcere per la sua presunta leadership nel clan.
Tra i candidati costretti a rivolgersi a Agostino Capone si segnala la presenza di Luigi Bosco, Consigliere regionale in carica, il quale ha confermato che a Caserta vi erano state alcune anomalie, in quanto per avere visibilità era necessario rivolgersi ad un determinato gruppo di persone.
A conferma di ciò Bosco ha raccontato agli inquirenti che un suo collaboratore, durante l’affissione dei manifesti nel Comune di Caserta, era stato aggredito da alcune persone che gli avevano intimato di allontanarsi, in quanto a Caserta nessuno poteva affiggere senza il loro consenso. Dopo tale episodio, inoltre, Vincenzo Rea si era presentato presso il suo comitato elettorale con fare spavaldo, garantendo che affidando a loro l’affissione dei manifesti avrebbe avuto la giusta visibilità, viceversa avrebbe avuto dei problemi. Come emerge dalle conversazioni captate tra gli indagati, i proventi di tale attività ammontavano a circa 17.000 euro, dei quali una parte erano destinati a rimpinguare le casse della fazione del clan riferibile a Giovanni Capone, con particolare riferimento al mantenimento degli affiliati all’epoca detenuti in carcere.
Pasquale Corvino, ex vicesindaco di caserta e presidente della squadra di calcio Casertana, e Pasquale Carbone, ex sindaco di San Marcellino, sono stati condannati definitivamente a quattro anni e otto mesi di reclusione. L’inchiesta ruotava attorno al racket dei manifesti gestito, secondo l’accusa, da esponenti del clan Belforte di Marcianise durante le elezioni regionali del 2015. Pasquale Corvino avrebbe chiesto l’appoggio elettorale nel territorio di Caserta, promettendo a Agostino Capone e Vincenzo Rea la somma di 3.000 euro ciascuno, buoni spesa e buoni carburante, oltre ad un “regalo“ per Giovanni Capone
Anche il candidato Pasquale Carbone, attraverso un intermediario, si era rivolto a Antonio Merola, affiliato al clan Belforte, fazione di Capone, per ottenere i voti del clan e, come corrispettivo, aveva versato la somma di 7.000 euro, in cambio di cento voti nel Comune di Caserta. A termine elezioni, Carbone otteneva nel capoluogo meno voti di quelli promessi, 87 anziché 100, motivo per il quale chiedeva la parziale restituzione della somma versata per il procacciamento dei voti. Di particolare interesse risultano le conversazioni intercettate tra gli indagati, nelle quali Agostino Capone minacciava delle persone al fine di assicurarsi i voti “se non escono i voti devi vedere! Ti togliamo la macchina da sotto!”, a dimostrazione della forza intimidatrice utilizzata per ottenere i voti per Pasquale Corvino Ulteriormente rilevanti, sono le esternazioni sulle modalità con le quali sarebbe stato controllato il rispetto dei patti, cioè che i voti promessi a Covino sarebbero effettivamente stati dati dagli elettori che avevano ricevuto i buoi spesa o carburante: “li vado a prendere… li porto a votare fino a dentro! Con il telefono in mano faccio la foto, devo vedere sul telefono se no non hanno niente!”. A conferma della spregiudicatezza degli indagati, è stato accertato come Agostino Capone in persona, si fosse occupato di accompagnare con la sua autovettura alcune persone anziane al seggio, facendole entrare nella cabina elettorale insieme alla moglie, per controllare se avessero votato bene. Lo stesso Capone, in una conversazione ambientale, raccontava alla moglie di aver controllato le schede prima di farle imbucare e di aver corretto con la matita il nome del candidato in Corvino, arrivando persino ad intimidire il presidente del seggio “non mi ha detto proprio niente perché io lo stavo menando a quello là dentro!”
La Cassazione ha confermato le condanne per Agostino Capone, Maria Grazia Semonella, Roberto Novelli, Paolo Cinotti e Silvana D’Addio. Giovanni Capone, detenuto all’epoca dei fatti, avrebbe dato disposizioni al fratello Agostino riguardo all’affissione dei manifesti elettorali a Caserta. Si sostiene che avesse imposto ai candidati di fare riferimento alla società “Clean Service”, intestata a sua moglie Maria Grazia Semonella, e che le intimidazioni fossero state utilizzate per controllare questo aspetto delle elezioni.
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