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Reggia: I Lecci della Via d’Acqua a rischio crollo, i filari vanno sostituiti

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CASERTA –Durante la giornata di studi su “Il filare di lecci della Via d’acqua: ecologia di un’architettura”  tenutasi ieri nella Sala Romanelli, il direttore Tiziana Maffei ha presentato la proposta di un completo rinnovamento del primo filare di 750 lecci lungo la Via d’acqua del complesso della Reggia di Caserta. Questa scelta coraggiosa, supportata da studi approfonditi, è stata presentata al fine di informare e stimolare un confronto su un tema di grande importanza.

Durante la giornata di studi sono stati presentati i risultati delle ricerche scientifiche condotte e i possibili scenari futuri, considerando le variabili pertinenti. Gli interventi sono stati arricchiti dai contributi di studiosi del settore che hanno condotto ricerche nell’ambito delle iniziative per la protezione e la gestione del patrimonio vegetale del complesso vanvitelliano.

L’obiettivo principale della proposta di rinnovamento è preservare e valorizzare l’architettura verde della Via d’acqua, tenendo conto degli aspetti ecologici e della gestione sostenibile del patrimonio vegetale. La giornata di studi è stata un’occasione per coinvolgere cittadini, associazioni e Ordini professionali al fine di promuovere una discussione aperta e informata su questa importante questione.

«Purtroppo – ha detto la dg – la condizione di questi alberi che sono esseri viventi e, perciò, soggetti al ciclo vitale, è tale da averci costretto ad affrontare in modo radicale la questione». A illustrare i risultati dei loro studi sul campo Luca Corelli Grappadelli e Alberto Minelli, Università di Bologna, Davide Neri, Università Politecnica delle Marche, Francesco Ferrini, Università di Firenze e Luigi Cembalo, Università Federico II di Napoli e Università Vanvitelli, che, coordinati da Alberta Campitelli dell’Associazione Parchi e Giardini d’Italia, hanno fatto un quadro preciso dello stato attuale dei filari di lecci e delle possibili situazioni future. Il progetto è parte di un impegnativo programma di recupero e riqualificazione del Parco reale. Il doppio filare di lecci della via d’Acqua è ancora oggi, così come ipotizzato nella composizione originaria di Luigi Vanvitelli, architettura vegetale d’immediata riconoscibilità e oggetto, quindi, di uno studio approfondito volto a determinarne il valore biologico, fisiologico, estetico, architettonico ed economico. Le indagini sono state condotte dal Distal dell’Università Alma Mater Studiorum di Bologna e dal Dia della Federico II, con i quali il Museo ha sottoscritto uno protocollo d’intesa per la salvaguardia delle alberature di pregio e una collaborazione più ampia sulle problematiche conservative del Parco.

Sono stati analizzati, nel corso del convegno e di una successiva tavola rotonda, i pro e i contro dell’eventuale intervento di rinnovamento. I crolli costanti con i rischi per l’incolumità pubblica, la presenza di numerose malattie nelle alberature, i ridotti servizi ecosistemici (data la loro vetustà, gli alberi non svolgono appieno la funzione ecologica), una valenza estetica compromessa a causa della disomogeneità delle alberature, insieme alla crescente pressione antropica nella Reggia, all’inadeguatezza dell’attuale sistema di irrigazione, ai cambiamenti climatici con gli eventi atmosferici violenti sempre più frequenti e all’insostenibilità dei costi di gestione sono le indicazioni che porterebbero verso lo scenario illustrato ieri nel dettaglio. L’intervento terrebbe conto, comunque, di conservare il valore progettuale della via d’acqua, modello identitario del monumento, il sistema di relazioni tra la componente vegetale e l’articolazione delle fontane, la riconoscibilità percettiva del filare di lecci, lungo quasi 3,5 chilometri.

Senza contare, come è stato sottolineato, che la ipotizzata sostituzione contribuirebbe all’incremento dei servizi ecosistemici con un miglioramento dell’aria in 13 anni, all’efficientamento delle pratiche manutentive e che sarebbe un esempio virtuoso per affrontare il tema. Ovviamente, la scelta di procedere al rinnovamento integrale del primo filare di lecci, avrebbe inevitabilmente un forte impatto visivo iniziale per la presenza di alberature giovani che avrebbero dimensioni ridotte rispetto a quelle attuali e comporterebbe una notevole esposizione mediatica. «Conseguenze di cui siamo ben consapevoli – ha detto Maffei – ma certe scelte, che oggi possono apparire troppo audaci o radicali, assicurano un futuro più tranquillo. Insomma, lo sguardo è in prospettiva, da qui a cinquant’anni, quando se ne vedranno i risultati».

Sulla vicenda dell’“abbattimento dei 750 lecci” della via d’Acqua nel Parco della Reggia,  è intervenuto Ciro Guerriero, presidente del movimento  Caserta Kest’è che coadiuvato dall’agronomo  Bruno Di Martino, hanno edotto altre considerazioni. E’ bene ricordare che il Parco della Reggia è un giardino storico e soggetto, tra l’altro, alla Carta dei giardini storici detta “Carta di Firenze”, Comitato internazionale dei giardini e dei siti storici ICOMOS-IFLA Riunito a Firenze il 21 maggio 1981. Questo Comitato internazionale dei giardini storici ICOMOS-IFLA ha deciso di elaborare una carta relativa alla salvaguardia dei giardini storici che porterà poi il nome di questa città. Questa carta è stata redatta dal Comitato e registrata il 15 dicembre 1981 dall’ICOMOS con l’intento di completare la “Carta di Venezia” in questo particolare ambito. All’art. 15 si legge testualmente: “Ogni restauro e a maggior ragione ogni ripristino di un giardino storico dovrà essere intrapreso solo dopo uno studio approfondito che veda dallo scavo alla raccolta di tutta la documentazione concernente il giardino e i giardini analoghi, in grado di assicurare il carattere scientifico dell’intervento. Prima di ogni intervento esecutivo lo studio dovrà concludersi con un progetto che sarà sottoposto ad un esame e ad una valutazione collegiale”. Altra considerazione. Dobbiamo evitare uno scontro tra il sapere ufficiale, adottato in questa circostanza dalla dr.ssa Maffei invitando a un dibattito docenti agronomi specializzati in orticoltura, frutticoltura o laureati in lettere o economisti, come conoscenza accreditata e la scienza civica, rappresentata in questo caso dalle associazioni ambientaliste, dalla società civile e da chi ha competenza in materia, ivi compresi architetti del paesaggio, ecc. Vale, a questo punto, rilevare che la Democrazia, che chiameremo in questo specifico caso, democrazia deliberativa, passa attraverso il confronto tra questi due saperi, tanto importante quanto più la questione è stata politicizzata e da certa stampa, sempre prona a magnificare chi governa, che ha voluto ricordare come le scelte passate effettuate per il monumento sono state sempre all’altezza di chi aveva la responsabilità. Sappiamo bene che è totalmente falso. A maggior ragione occorre ascoltare chi, nella società civile, una volta tanto, ha qualcosa da dire.

 

 

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