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La narrazione governativa continua a trattare i positivi asintomatici come pericolosi untori e potenziali assassini

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Quest’anno decine di migliaia di italiani passano il Natale in isolamento, lontano dagli affetti, per il semplice fatto di essere risultati positivi (nonostante moltissimi di loro siano vaccinati) a un virus che nella stragrande maggioranza delle persone sotto i sessant’anni produce, nella peggiore delle ipotesi, sintomi simili a quelli di una comune influenza (posso confermare); e che oggi, grazie ai vaccini e all’immunizzazione naturale di un’enorme fetta della popolazione (e alla virulenza ridotta della nuova variante Omicron, tuttavia non ancora prevalente nel nostro paese), comporta anche nelle persone normalmente più a rischio – sostanzialmente gli over-60 – un rischio di malattia seria estremamente ridotto (tra l’80 e il 90 per cento circa, secondo l’ISS).
Questo è il risultato di una narrazione governativa che continua a trattare i positivi asintomatici e paucisintomatici come pericolosi untori e potenziali assassini – esattamente come un anno fa, prima dell’arrivo dei vaccini e dell’inizio del naturale processo di endemizzazione del virus («Nessuna pandemia è mai durata più di due anni» – cit. Palù, presidente dell’AIFA), e nonostante tutto quello che oggi sappiamo sul basso livello di contagiosità degli asintomatici.
Il risultato – perfettamente comprensibile – è che anche le persone tridosate oggi vivono nel terrore dei positivi, al punto di rinunciare a un momento di socialità così fondamentale come il Natale.

Basta questo a far capire che siamo già entrati in una nuova normalità, in cui la paura irrazionale del morbo invisible tende a prendere il sopravvento su qualunque argomentazione razionale.
C’è poco da stare sereni: è ormai evidente, infatti, che di questo virus non ci libereremo, ma che esso continuerà a circolare in forma endemica, cioè con un tasso di mortalità probabilmente non dissimile da quello dell’influenza stagionale (che comunque non è uno scherzo: solo nel 2016/2017 sono stati attribuiti all’influenza circa 25mila decessi nel nostro paese ma non per questo tracciamo i positivi all’influenza).

Di conseguenza, in assenza di un radicale cambio di narrazione da parte della autorità politiche (di cui non c’è avvisaglia nel nostro paese, ahinoi, anzi), finalizzato a uscire dallo stato di emergenza permanente e a porre fine alla psicosi collettiva, c’è veramente il rischio concreto di non “uscirne” mai – neanche dopo la diciassettesima dose -, visto che ciò che conta ai fini della risposta delle persone non è il rischio reale (oggi oggettivamente basso anche per le categorie più a rischio) ma quello percepito (e che un “rischio” esisterà sempre, anche in seguito all’endemizzazione del virus).
E purtroppo sono in tanti, troppi ad avere tutto l’interesse ad alimentare il terrore piuttosto che a rasserenare gli animi.
Su una cosa, comunque, possiamo stare certi: il 2022 sarà un anno spartiacque, in cui si deciderà se gli artefici della nuova normalità l’avranno definitivamente vinta, o se invece gli anticorpi democratici che ancora esistono in questo paese saranno in grado di provocare una risposta immunitaria al virus dell’autoritarismo tecno-nichilista.
Buona vita a tutti.

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