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L’Amazzonia brucia, a rischio la lotta al cambiamento climatico

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La notte di giorno. Questa l’inquietante immagine che arriva da San Paolo, la più grande città del Brasile, che l’altro ieri è stata avvolta da una nera caligine intorno alle ore 15. All’origine della nube gli immensi incendi nella foresta amazzonica, distanti centinaia e centinaia di chilometri dalla capitale, che hanno raggiunto numeri da record. La conferma giunge anche dai funzionari dell’Istituto Nazionale di Meteorologia del Brasile (Inmet) che hanno ribadito come la scena apocalittica sia il risultato della presenza aria fredda e umida e ingenti quantità di fumo. Le immagini del tetro crepuscolo di mezzogiorno di San Paolo hanno fatto il giro del mondo, diventando in breve tempo un’icona dell’ecocidio che da mesi cresce esponenzialmente in Brasile. A fatto subito seguito l’hashtag virale, #prayforamazonia. «Questo è il sintomo più acuto del via libera dato dal governo Bolsonaro al potente mondo dell’agrobusiness brasiliano», spiega Paulo Lima, ambientalista e direttore dell’associazione Viraçao, con sede a San Paolo. Da quando il governo è salito in carica la deforestazione ha ripreso battendo ogni record. Grandi aziende e piccoli produttori si sentono legittimati a disboscare e bruciare a più non posso. Basta immaginare che lo scorso 10 agosto, nella città di Novo Progreso, nello stato del Parà, gli agricoltori hanno istituito il “giorno del fuoco”, imbaldanziti da un governo che li appoggia pienamente».

La deforestazione dell’Amazzonia brasiliana ha superato la soglia  di tre campi da calcio al minuto, secondo gli ultimi dati del governo. Dal punto di vista areale a luglio sono scomparsi 1.345 kmq, un terzo in più rispetto al precedente record mensile sotto l’attuale sistema di monitoraggio del sistema satellitare Deter B, iniziato nel 2015. Solo in agosto si sono verificati 71.497 incendi di medie e grandi dimensioni, sostiene l’Institut Nacional d’Indagacions Espacials (INPE), un centro di ricerca specializzato in analisi fotosatellitari (il direttore dell’INPE Ricardo Galvão, è stato licenziato da Bolsonaro proprio per le sue ricerche sugli incendi). Dati fuori scala, che mostrano come si stia spingendo rapidamente la più grande foresta pluviale del mondo verso un punto di non ritorno entro il quale si rischia di compromette l’intero ecosistema. Condannando piante e animali alla scomparsa. Per il mondo ecologista brasiliano, allevatori e agricoltori hanno colto la palla al balzo e non sapendo quanto a lungo durerà il governo di Jairo Bolsonaro, dichiaratamente climanegazionista e fin dal primo giorno promotore dell’espansione delle aree agricole in Amazzonia, stanno cercando di acquisire e disboscare foreste pluviali quanto più rapidamente possibile. «La “notte” di San Paulo è la cartina tornasole di questa follia», continua Paulo. Terreni che spesso vengono sottratte a comunità indigene, violandone i diritti fondamentali. «Oggi i difensori della terra sono a rischio. Gli omicidi sono aumentati esponenzialmente». Pochi giorni fa a Brasilia per protestare contro l’ecocidio sono sfilate le “Margherite”, oltre 2000 donne indigene. Ma Bolsonaro ribadisce: nemmeno un centimetro di terra in più alle comunità indigene. La diplomazia comincia ad avere qualche sussulto. Germania e Norvegia hanno annunciato di sospendere il finanziamento del Fondo Amazzonia, nato per la tutela delle foreste, bloccando circa 70 milioni di euro (la Norvegia complessivamente ha investito circa 800 milioni di euro in 11 anni). Inoltre numerosi giornali, come The Guardian e Al Jazeera hanno fatto speculazioni su come l’ecocidio del governo bolsonaro potrebbe bloccare la ratifica dell’accordo commerciale EU-Mercosur. Due ex ministri dell’ambiente brasiliani, Jose Sarney Filho e Izabella Teixeira, hanno dichiarato che Bolsonaro ha rapidamente distrutto la reputazione conquistata dal Brasile come produttore alimentare responsabile e la posizione di leader nella lotta per il controllo alla deforestazione. Sarney Filho ha ribadito che i parlamentari UE, in particolare quelli dei grandi paesi agricoli come Francia e Italia, sono pronti ad opporsi alla ratifica dell’accordo concluso il mese scorso con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay. Il presidente francese Emmanuel Macron aveva già avvertito a giugno che non avrebbe firmato il patto UE-Mercosur se Bolsonaro avesse ritirato il Brasile dall’accordo sul clima di Parigi. Anche la società civile brasiliana non rimane a guardare. «Negli ultimi mesi si sta registrando un grande fermento del mondo ambientalista e dei grandi movimenti sociali e dei lavoratori brasiliani», continua Paulo Lima. «Fino a poco tempo fa i movimenti sociali erano disinteressati alle tematiche climatiche. Ora però la situazione sta cambiando e a settembre in Brasile potrebbe tenersi uno dei più grandi Fridays for Future di sempre». Un aiuto potrebbe anche giungere da Greta, che ha previsto una tappa brasiliana del suo viaggio americano. La speranza per molti è che il governo Bolsonaro cada al più presto. Non c’è nulla di più pericoloso per il pianeta oggi.

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