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Celebrati i funerali di un’altra giovane vita spezzata. L’ultimo saluto a VINCENZO

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Si sono svolti stamani alle 9:30 presso il Buon Pastore , i funerali di Vincenzo  Mongillo suicida dopo avere assistito all’omicidio del fratello Marco, l’8 luglio scorso in casa di amici.

La bara bianca sotto la pioggia, portata a spalla

Il rito stato celebrato da don Antonello Giannotti che la sua omelia ha cercato di dare parole di conforto:  ‘la vita di Enzo era diventata un’ inferno dopo la morte di Marco. Solo Gesù oggi può mettere pace nel nostro cuore. Non ci sono parole per quello che è accaduto prima Marco e poi Vincenzo. Di fronte a questo gesto, noi ci facciamo mille domande, ci poniamo tanti interrogativi, io credo che Enzo amasse molto la vita, sembra paradossale ma, un giovane che si toglie la vita e un giovane che ama molto la vita, ma non riesce a viverla nelle condizioni in cui si trova la sua vita, Era diventata un inferno, perché non aveva mai accettato la morte di Marco, Di fronte a una scelta del genere dobbiamo fare due cose: non possiamo giudicare e dobbiamo condividere il dolore con la sua famiglia alla quale dobbiamo stare vicino.’

Intanto giuridicamente, si assiste al silenzio alle omissioni, e versioni travisate. La verità è ciò che si cerca, sulla quale, per ora sta indagando la magistratura, le porta con se nella tomba Vincenzo Mongillo.

A ventuno anni ha deciso di farla finita. Un biglietto  accanto al corpo alla madre: “Scusami mamma se non sono come avresti voluto. Vado a raggiungere Marco”. .

Il guinzaglio del piccolo Bull terrier bianco è diventa  cappio.

Il Rione Vanvitelli, cuore popolare di Caserta è sotto Choc, rabbia, disperazione…e tante chiacchiere.

Marco, il pizzaiolo. Marco, l’incensurato. Marco, il fratello ‘vittima’ di quelle amicizie strampalate di Vincenzo.

La solitudine, l’emarginazione ha colpito di nuovo, nel peggior modo, togliendo il futuro a un figlio di questa  maledetta terra…. che si volta sempre più dall’altra parte, o mette la testa sottoterra.

In Via Dossetti al primo piano del civico 13  la morte si è portata via un altro giovane vita.

Come tutti sanno, suo fratello è stato assassinato l’8 luglio a un isolato da lì, in casa di amici di Vincenzo, trovato impiccato.

Di tutto ciò resta oggi un altro ragazzo in cella, ma nessun perché.

E lo stesso presunto assassino ha confessato, ma ha tentato di spiegarsi, di giustificarsi. Antonio Zampella è un assassino per sua stessa ammissione. Si è costituito qualche ora dopo aver sparato un colpo in fronte al fratello del suo migliore amico. Ma ha sempre detto che non voleva ammazzarlo. “Era un gioco, facevamo la roulette russa. Mi sono puntato la pistola contro, ho premuto il grilletto, ma non funzionava. Poi l’ho girata verso Marco e ha fatto fuoco. Sono distrutto, non volevo”. L’indagine sul caso Mongillo è ancora aperta.

E dopo il suicidio del fratello della vittima, la matassa si ingarbuglia ancor di più. Un’inchiesta che è sembrata più volte vicina a uno snodo ma che oggi sembra a un punto morto, impantanata sulle tre versioni dei fatti in fascicolo, un omicida in carcere, e una serie di indagati per quel pomeriggio di droga e follia durante il quale perse la vita un ragazzo di diciannove anni, incensurato, che lavorava come pizzaiolo.

Nonostante la confessione di Zampella, il caso non è chiuso. Il racconto del ventenne è incoerente. La smentiscono il fratello di Marco (la vittima), Vincenzo Mongillo, trovato impiccato ieri in casa della mamma. L’ha smentita un quinto ragazzo che quel maledetto sabato d’estate era in quella casa dove avrebbe dovuto tenersi una festa di compleanno e dove invece si consumò un omicidio.

Vincenzo ha sempre dichiarato di non essere stato presente quando partì lo sparo. Antonio Zampella invece ha sempre sostenuto che ci fosse anche lui. Suo fratello, Umberto, gli ha sempre dato manforte. Lui, Umberto, che quel giorno compiva gli anni e aveva invitato i Mongillo a casa perché non poteva uscire. Era ai domiciliari. E poi c’è il quinto ragazzo, che racconta una terza versione dei fatti, una versione che stride con le altre due. Si chiama Daniele De Lucia, ha la stessa età degli altri protagonisti di questa assurda vicenda. Venti anni. Il suo racconto dice cose diverse rispetto a quelle verbalizzate durante l’interrogatorio di Antonio Zampella e rispetto a quanto si legge nella versione di Vincenzo Mongillo. “Antonio disse a Vincenzo di seguirlo” si legge negli atti dell’indagine ancora aperta sul caso Mongillo. “Sono stati via per 40 minuti e, quando sono rientrati, Antonio aveva una pistola in mano ed è andato direttamente verso Marco. Poi ha caricato l’arma, glie l’ha appoggiata sulla fronte e ha sparato”. “Marco era intento a chattare con il cellulare, – disse, ancora, De Lucia – secondo me non ha fatto in tempo a capire cosa gli stesse succedendo. Marco sedeva un po’ di sbieco, con la schiena poggiata sull’angolo della poltrona più vicina alla porta d’ingresso”. Ma i medici del 118 lo trovarono in un’altra posizione.

Il testimone chiave ha anche negato che, prima di uccidere Marco, Antonio aveva provato l’arma su sé stesso. Quella pistola che, sempre secondo quanto hanno ricostruito i carabinieri della compagnia di Caserta (diretti dal capitano Andrea Cinus e dal tenente Fabrizio Borghini) Zampella si era procurato perché aveva paura di un pregiudicato di Maddaloni al quale aveva ‘rubato’ la fidanzata. “Antonio è uno spavaldo, un attaccabrighe. Quando guida il motorino o l’auto, sgomma – fece mettere a verbale De Lucia – teneva sempre lo stereo ad altissimo volume e anche una pistola giocattolo che spesso esibiva. Veniva definito ‘squacchione’ perché da piccolo di solito, faceva i bisogni all’interno dei rioni, sotto i porticati, sporcando in maniera incontrollata”.

È il ritratto di un ragazzo ‘sbagliato’ che all’improvviso passa il guado e da ‘sbruffone’ diventa un assassino.

Intorno a lui, storie di spaccio, di spinelli consumati come fossero trofei o vie d’uscita. La pista dello spaccio è stata tra quelle che inizialmente la procura aveva privilegiato per chiarire in quale contesto fosse stato ucciso Marco Mongillo.

Il pizzaiolo che di precedenti non ne aveva, ma aveva un fratello che non solo era amico di uno spacciatore, Umberto Zampella, ma era anche stato per un breve lasso di tempo una sorta di pony express per conto della sorella, Rosa, e per questo era stato denunciato, da minorenne.

Vincenzo di guai recenti con la giustizia non ne aveva avuti, ma anche dopo la morte drammatica del fratello, dalla quale non si era mai ripreso, non aveva cambiato stile di vita e frequentazioni.

Se si sia ucciso per aver deluso la mamma, come ha scritto su quel biglietto che ha lasciato cadere sul pavimento del bagno prima di impiccarsi, o se ci siano altri motivi per il suo gesto estremo, al momento è impossibile stabilirlo.

Resta per i genitori un vuoto incolmabile, senza verità, per la città, l’amarezza per due giovani vite stroncate e per una terza esistenza, quella dell’assassino, compromessa per sempre.

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